lunedì 19 gennaio 2009

Cacaw – Get A Brain 12”

La Permanent – negozio/etichetta di Chicago – dopo aver pubblicato l’ottimo split 12” tra Cave e California Raisins, mette a segno un altro centro con l’esordio di Cacaw.

Nome nuovo fino ad un certo punto. Della partita sono infatti Carrie Davidson e Anya Vinarsky, due delle 3 signorine che formavano il sestetto di punk no-wavers Coughs, autore di un paio di ottimi dischi su Load e titolare di una feroce reputazione live. Zack Pink Shoes (ex Lovely Little Girls) e Kyle (ex Slut Barf) completano il quadrilatero che si muove grossomodo sulle coordinate del suono Coughs.

La chitarra isterica e no- unita alle solite vocals ossessive e psicotiche appannaggio delle due ragazze sono lì a testimoniarlo. A venire accentuato è però l’aspetto tribaloide della band originaria, in virtù di una sezione ritmica possente e monolitica che sfrutta due bassi, una batteria caterpillar e l’aggiunta di percussioni sparse. Aspetto perfettamente rappresentato nel sabba infernal-cacofonico di The Monster’s Salty Tears e nel pachidermico incedere di Tri-Dog.

Get A Brain è un esordio violento, sparato in faccia, incompromissorio e realmente devastante, la cui unica pecca – se si pecca si può parlare – risiede nella natura stessa di un suono che deve essere omogeneo e compatto al limite del monolitico.

Se la fama del quartetto – dovuta principalmente agli incendiari live – ha fatto loro guadagnare la stima di Dan Friel dei Parts & Labor, direi che si può tranquillamente scommettere su di loro.


mercoledì 14 gennaio 2009

Doxa Sinistra – Conveyer Belt lp

C’è lo zampino dell’Italia più naif e underground dietro questo Conveyer Belt. Questo vinile è infatti la riedizione di un nastro uscito originariamente nel 1985 dalla collaborazione tra l’olandese Trumpett e la storica etichetta milanese ADN. A rendere disponibile questa gemma è l’interessante label olandese Enfant Terrible che offre una ristampa tutto sommato fedele: ad essere escluso è solo un pezzo, il collage dada-rumorista di Noise Panting Tableau 1.
Minimal synth-wave rumorosa declinata secondo il verbo dell’industrial e di quella electro che poi si sarebbe chiamata EBM, la proposta degli olandesi Hanjo Erkamp e Brian Dommisse, coadiuvati per l’occasione da Jan Popma e Frank Brinkhuis.
Conveyer Belt è uno di quei dischi che hanno il dono di suonare attuali e al passo coi tempi – si pensi alla recente rinascita dell’attenzione verso i suoni della wave più minimale, ossessiva e synthetica – anche a distanza di molto tempo dalla pubblicazione.
I 13 pezzi dell’album si muovono muscolari e impetuosi su quel terreno calcato da Lassigue Bendthaus, Skinny Puppy e S.P.K. ma pur sempre virato in chiave wave e suonato con spirito avanguardistico e sperimentale. La straniante nenia da muzak in disarmo di The Other Stranger è esemplare: bassa battuta e voce robotica intessono un teatrino post-apocalittico da brividi.
Ottima riscoperta per una etichetta piccola ma che ci sta dando sempre belle soddisfazioni.

martedì 13 gennaio 2009

Expo ’70 – Sunglasses 7”

Ideale compendio al da poco uscito Black Ohms, questo 7” è l’ennesimo centro per Justin Wright, aka Expo ’70 e per la sempre più ottima Trensmat. Della seconda si è già parlato e si tornerà a breve a farlo per commentare la trilogia Sonic Attack, tributo in vinile piccolo agli Hawkwind con dentro Kinski, Acid Mothers Temple, Bardo Pond ecc.

Di Expo ’70 invece si è parlato in altre sedi (SA n.51, nello specifico) ma le due gemme racchiuse in questo 7” non possono passare inosservate, poiché dimostrano come il droning d’origine krauta messo in scena dal solitario di Kansas City si trovi a suo agio anche su distanze meno estese.

Le late night improvisations Sunglasses (lato A) e Transcending Energy From Light (lato B) mostrano l’anima notturna e ossessivamente trancey di Expo ’70, affidandola ai due metodi del procedere musicale di Wright: Sunglasses evidenzia il lato più fluttuante e malato, con le maree montanti di synth lì pronte a fornire una versione a-ritmica e spacey del kraut tedesco; Transcending Energy From Light, come da titolo, apre invece agli arpeggi di chitarra in modalità ipnotica che si depositano sul sostrato droning nero-pece come pulviscolo proveniente da un cortocircuito spazio-temporale con la California psych più deviata e astratta.


lunedì 12 gennaio 2009

Factums – The Sistrum/A Primitive Future lp

Tra i gruppi che hanno caratterizzato il 2008 un posto di rilievo è occupato sicuramente dai Factums, trio wave da Seattle titolare di almeno un paio di uscite lunghe memorabili.
Dopo l’accoppiata del 2007 – l’esordio omonimo per Siltbreeze che rieditava un cd-r homemade e Spells & Charms per Kill Shaman – l’anno appena trascorso ha visto altre due release lunghe, ovviamente entrambe in vinile, per Sacred Bones e la neonata Assophon.

In tempi di elefantiaca sovrabbondanza discografica, però, non sono tanto le uscite a segnare la specificità dei Factums, quanto quell’etica/estetica retrofuturista che Dan Strack, Jesse Paul Miller e Matthew A. Ford mettono in atto con estrema nonchalance e che trova la sua sublimazione nella colonna sonora immaginaria A Primitive Future.

Andando con ordine, è The Sistrum a vedere per primo la luce. Incastonato in una delle stupende cover della Sacred Bones – gente che conosce bene il significato di estetica – deforma ancor di più i territori instabili percorsi nei dischi precedenti. Una wave smostrata, mutante, arcaicamente futurista e fieramente spastica che se ne fotte altamente di forma-canzone e linearità espressiva. Che passa cioè attraverso i paludosi lidi di industrial-music e immaginario sci-fi, San Francisco fine ’70 e Inghilterra grigia e cementizia (grossomodo Sheffield), wave che più out non si può e dilatazioni da america weird noise, approssimazioni garage-oriented e rumorosissime escursioni shitgaze.

A Primitive Future è invece la colonna sonora per un film inesistente che acuisce ancor di più la tendenza sperimentale del trio, frammentando lo spettro sonoro in una disomogeneità che dagli schizzi sotto il minuto arriva ai 12 minuti della suite di Looking For The Armpit Of A Snake. Stranamente però la coesione dell’album resiste alle fratture imposte dai tre e l’andamento da buco spazio-temporale del suono è tipicamente riconoscibile come Factums. Quello cioè di una attitudine, anzi di una predisposizione al weird che fa assurgere il trio al ruolo di improbabile mix tra Chrome, Dead C e Residents proveniente, nella migliore delle ipotesi, da Marte. Dall’inferno, nelle peggiori.


lunedì 5 gennaio 2009

Cold Cave – Painted Nails 7”

Da un’etichetta come la Hospital, di proprietà di Dominick Farnow, meglio noto come Prurient, con un catalogo con nomi come Kevin Drumm, Wolf Eyes e, appunto, Prurient cosa ci si potrebbe aspettare? Basse frequenze apocalittiche, harsh noise disturbante, fiumi di rumore bianco. E invece sepolto sotto i rivoli cangianti di questo piccolo vinile che è il primo lascito a nome Cold Cave si nasconde una sensibilità dark-synth-wave cui molti recentemente sembrano essersi immolati.
Buon ultimo Wesley Eisold, titolare (apparentemente unico) della cava, agitatore della scena weird di Philadelphia, condirettore di Heartworm Press e con trascorsi più o meno noti nel sottobosco hc-noise americano con Some Girls e altre mille bands.
Un gusto retro-futurista avvertibile sin dall’opener Sex Ads, nonostante i primi secondi di pura distorsione in white noise indirizzino verso tutt’altri lidi consoni all’etica/estetica dell’etichetta. Ma l’attenzione, la fascinazione di Cold Cave per un passato minimal-wave ossessivo e lancinante si reitera a pieno titolo nella pioggia di synth old-fashioned della conclusiva Always Someone. Il tutto, ovviamente, sempre trattato con delicatezza harsh.
Dopotutto, I’ve Seen The Future And It’s No Place For Me non è una canzone, ma una dichiarazione d’intenti.