martedì 28 ottobre 2008

Austerity Program – Song 20 (The River) 7”


Sono in due. Sono di stanza a NY. Suonano basso e chitarra e si accompagnano ad una batteria elettronica.
Il loro sogno più segreto? Essere i nuovi Shellac. Anzi, a dirla tutta, essere la reincarnazione dei Big Black. E se le band di sua santità Steve Albini mettevano in scena le perversioni della provincia americana, questi sono un passo avanti, essendosi dati un nome a dir poco lungimirante. In merito al prossimo (già avvenuto?) crollo dell’economia americana (mondiale?) e al ruolo di moderne Cassandre dei due newyorchesi rimando alle lucide disamine postate qui, sul proprio sito.
Per la musica, beh, il nauseante senso ultimo della loro musica è martorizzare i Big Black in chiave industrial. Ossessività ancor più accentuata, ritmiche marziali e asettiche, sfasamenti strumentali asfissianti, una voce indolente fino allo stremo che si trasforma in urla senza speranza. Questo è Song 20, lato A di questo vinile.
Il lato B è ancora più straniante: Song 1 (le loro canzoni sono tutte in formato alfanumerico) è infatti uno strumentale fatto di stop’n’go furiosi e stratificazioni di distorsioni, degno erede delle più eccitanti esperienze noise-rock anni 90.

martedì 21 ottobre 2008

A Place To Bury Strangers – I Know I’ll See You 7”

Riemergono i peggiori incubi shoegaze con questi newyorchesi amanti della distorsione. Nulla di nuovo sotto il sole del rock, l’unione di melodie e rumore. Ma questi newyorchesi vanno decisamente oltre meritandosi, almeno così si dice in giro, il titolo di loudest band in NY.
In occasione della ristampa, con bonus, dell’omonimo esordio, la Rocket Girl mette fuori questo 7” limitato e double a-sided in bellissimo color arancio che prevede un estratto dal suddetto album, la title track, e la sua versione remix ad opera di Clapp.
C’è tutto il mondo del trio – al secolo Oliver Ackermann (voce, chitarra), JSpace (batteria), Jono Mofo (basso) – nei quattro minuti di questa I Know I’ll See You: indolenza melodica da periodo d’oro della Factory affogata in un trionfo di riverberi, batteria simil-elettronica e in echo perenne, fischi di ampli a manetta unite a oscurità Cure prima maniera e stratificazioni di feedback à la Jesus & Mary Chain.
Sul lato AA il trattamento in remiscelamento cui viene sottoposta la stessa traccia ne sviscera tutto il potenziale catchy. Una volta depurato dal macilento wall of sound, il risultato si avvicina pericolosamente al synth-pop, come fosse una versione perversamente anni 00 dei Depeche Mode cresciuti nella Bowery.
La differenza con molti epigoni dello shoegaze chitarristico tutto distorsione e feedback è tutta qui: questi sanno scrivere canzoni.

His Electro Blue Voice – Duuug 7”

Tornano e spopolano gli italici His Electro Blue Voice da Como-Bologna. Discograficamente piuttosto parchi – questa è la loro terza release, tutte rigorosamente in 7” – non lo sono dal punto di vista qualitativo. L’esordio vide la luce tempo addietro per l’americana S-S, mentre lo split con Nuit Noire era una parentesi “casalinga” (a pubblicare era la AVANT! del batterista Andrea); ora Duuug esce per l’etichetta più chiacchierata del momento, la Sacred Bones di Caleb – uno che scopre talenti del calibro di Blank Dogs e Pink Noise. Come a dire, pochi ma buoni e molto considerati soprattutto oltreoceano.
Ma cosa ha questo trio di peculiare da attirare tanta attenzione? Innanzitutto, giocano di contrasti con l’hype underground del momento, quello shitgaze che ripropone ancora una volta l’utilità delle definizioni fantasiose. E lo fanno appropriandosi sì dell’essenza di quel suono, il no-fi, ma piegandolo al servizio di una proposta dopo-punk fino al midollo. Che a grattare bene è ciò che sta dietro gli ascolti di molti dei gruppi accomunati a quella odiosa definizione: primo post-punk anglosassone dai Warsaw in giù.
Duuug sul lato A non mancherà di catturare cuori e diffondere il culto sull’onda di una dark-wave a tratti irresistibile, mentre Fury Eyes col suo incedere a scatti ne è degno contraltare e li avvicina pericolosamente a certe band di metà anni 90 in fissa col declinare in chiave noise le prerogative della dark-wave più reietta.
L’etichetta lo da già come sold-out – almeno alla fonte – ma a cercare bene qualcuna delle 500 copie tirate potrebbe uscir fuori.

lunedì 13 ottobre 2008

Xiu Xiu & High Places – Split 7”

Mr. Jamie Stewart non è mai stato parco di uscite minori coi suoi Xiu Xiu. Così come non si è mai sottratto al ruolo di sostenitore di piccole etichette o scene latamente altre rispetto alla visibilità di cui godono Xiu Xiu.
Ecco insomma l’ennesimo 7” della carriera del nostro, stavolta fuori per una piccola ma agguerrita etichetta, la
Aagoo. In questa occasione Xiu Xiu fornisce una infestata Kitten Revolution, scarto – per modo di dire – dall’ultimo Women As Lovers: svisate di sax impazzito, punteggiature di batteria e aperture strumentali free-cacofoniche assecondano una declamazione ora sussurrata, ora spiritata per un pezzo che nulla ha della b-side.
A dividere lo spazio del 45 giri è la premiata ditta Robert Barber-Mary Pearson, al secolo High Places col consueto effluvio di ninnananna ambient e afro-beat in stand-by compressi nei 4 minuti di Oceanus. La signorina ci mette una voce che definire eterea è poco; l’uomo dal canto suo percuote e campiona, cuce e incolla. Insieme producono una delle musiche più interessanti ascoltate ultimamente.
Nota di merito, per l’artwork. Bellissimo nel suo minimalismo frutto di 1000 scatti di polaroid opera di David Horvitz, fotografo ed artista sotto la cui supervisione sta uscendo una serie di 6 picture 7” con gente del calibro di Parenthetical Girls, Abe Vogoda, Mika Miko.

domenica 12 ottobre 2008

Titmachine – Wir bauen einde neue Stadt 7”


Se l’emerita Siltbreeze torna a pubblicare un 45 giri dopo 11 anni un motivo ci deve essere. E noi, dopo aver ascoltato questo vinilino, ci rendiamo conto di aver fatto bene a fidarci. Dopotutto mr. Siltbreeze, al secolo Thomas Lax, è da molti additato come colui che ha contribuito in maniera determinante a lanciare il fenomeno shitgaze, perciò – nonostante la pochezza della definizione conviene fidarsi, no?.
4 girls, no wave. Questa la lapidaria introduzione che offrono le Titmachine di loro stesse sul myspace. Cosa possiamo aggiungere se non che sono olandesi (grosso modo), piuttosto piacenti e decisamente molto più ostiche di quello che potremmo aspettarci dal termine no-wave oggigiorno?
Ossessive. Ritmatissime. Slabbrate. Fomentate da un isterismo afasico e da un umore ondivago e alla cartavetrata come solo poche bands hanno saputo dimostrare. Sul lato A riesumano un pezzo di Palais Schaumburg, Wir Bauen Einde Neue Stadt, ne ripuliscono le tendenze funk-wave e dancey e lo trasformano incattivendolo fino alla morte. Il titolo – We Build A New City, vi ricorda nulla di molto rumoroso? – diviene un anthem da urlo, la musica un incessante chiamata alla ribellione. Sull’altro lato non è da meno 1989 col suo incedere dissonante e marzialmente no-wave. A breve dovrebbe tornate in stampa l’omonimo 7” d’esordio su Mueew Muzak. Cercarlo è d’obbligo.

lunedì 6 ottobre 2008

Nice Face – Thing In My Head 7”

Va di moda l’agire in solitario ultimamente. E magari anche in modalità faceless. Che sia una sorta di ribellione allo status quo del mondo nell’era dell’ipervisibilità? Un apparente smarcarsi da un mondo, quello del 2.0, che viceversa contribuisce in maniera fondamentale a amplificarne la proposta?
Sia come sia, alla Sacred Bones sembrano essere ben felici di avere in catalogo gente che oltre a dilettarsi in solo, si ammanta anche di una neanche tanto velata aura di mistero. Blank Dogs è il caso limite, ma anche questo Nice Face non scherza in quanto a nascondismo. Ne parliamo al singolare perché ovviamente di one-man project si tratta e questo Thing In My Head ne segna l’esordio
Costruite su un asse spostato prevalentemente sulle chitarre piuttosto che sui synth demodé di mr. Blank Dogs, i due brevi pezzi in questione si appiccicano in testa con chirurgica facilità: con incidere cavernoso e in perpetua modalità echo genuinamente ’80 l’omonimo pezzo sul lato A; con un midtempo movimentato e storto, groovey a palla nel suo irresistibile coretto spastic-pop la Hidden Automatic dell’altro lato. Ma è principalmente la (le?) chitarra a graffiare nel lerciume in bassissima – quasi nulla – fedeltà nel quale sono ammantate le delizie pop di canzoncine orecchiabilissime.
È ormai appurato. C’è una genia di solitari che ama giocare coi peggiori incubi lo-fi che l’America abbia mai creato. Chiamatelo bedroom-punk se volete. Il risultato non cambia.

venerdì 3 ottobre 2008

Various Artists – Recovery 10 x 7” box set

Nel variopinto mondo del vinile a 45 giri può succedere veramente di tutto. Mi spiego meglio. L’agilità del medium unita alla relativa settorialità del supporto – indirizzato a fan appassionati piuttosto che alla grande massa di consumatori di musica – ne ha da sempre permesso un utilizzo particolare, come una sorta di laboratorio per sperimentazioni, ricerche, prove estemporanee.

Il box set pubblicato dalla Fractured – 10 piccoli vinili double A side, un lato per gruppo/artista – supera però ogni immaginazione, pur nella semplicità, quasi ovvia, della idea di partenza: mettere a confronto iconoclasti artisti elettronici e materia rock. Anzi, mettere in mano a gente come Mika Vainio, Alva Noto, Fennesz, Ryoji Ikeda, Matmos, per non parlare di santoni di estrazione industrial come Carter Tutti, :Zoviet*France e J.G. Thirlwell, un ampio ventaglio di pezzi genericamente rock/new wave scelti dai medesimi.

Il risultato? Una bomba. Per la serie, avete mai provato ad immaginare cosa può diventare la Hunting High And Low degli A-Ha in mano a uno come Fennesz? Una caligine iridescente che si muove a folate noise prima di un incedere quasi epico. Oppure la famosissima Warm Leatherette in mano a mr. Foetus? Un demoniaco blues-industriale incattivito fino alla morte. O ancora, come immaginare la My Sharona che fu dei Knacks trasformata in una nenia post-mortem da Susan Stenger o il Bowie di Ashes To Ashes fratturato dagli screzi rumoristi di Momus & Germlin?

I 20 pezzi di questo box sono dimostrazioni di come la musica, qualunque sia la provenienza e stante la creatività del rielaboratore, si presta da sempre a rimescolamenti, frantumazioni, riscritture anche radicali senza che a perderne sia il risultato finale.

Palma di miglior esempio per questo ragionamento va senza ombra di dubbio a Ryoji Ikeda e al trattamento al quale sottopone un pezzo come Back In Black: mantenendone apparentemente intatta l’ossatura, lo devasta dal di dentro a base di merzbowiani flussi di rumore bianco.


Tracklist:


1) BJNilsen – Heart and Soul (Joy Division) / People Like Us & Ergo Phizmiz – Mull of Kintyre (Wings)

2) Fennesz – Hunting High And Low (A-ha) / :Zoviet*France: – Bomber (Motörhead)

3) Ryoji Ikeda – Back In Black (AC/DC) / Mika Vainio – Running Up That Hill (Kate Bush)

4) Robert Henke – Lucifer (Alan Parsons) / Susan Stenger – My Sharona (The Knack)

5) Jenny Hoysten's Paradise Island – Dream Tree (Buffy Ste. Marie) / Alva Noto – Planet Rock (Afrika Bambaata)

6) Matmos – C30, C60, C90, Go!( Bow Wow Wow) / Barbara Morgenstern – Temptation (New Order)

7) Carter Tutti – Lucifer Sam (Pink Floyd) / Robert Lippok and Caroline Thorpe – Freedom! '90 (Wham)

8) Snd – Billie Jean (Michael Jackson) / Richard Chartier and CoH – Bleak is My Favourite Cliché (Soft Cell)

9) Momus and Germlin – Ashes To Ashes (David Bowie) / Jason Forrest – Damn Love (10cc)

10) J.G. Thirlwell – Warm Leatherette (The Normal) / Jóhann Jóhannsson – Souvenir (OMD)


giovedì 2 ottobre 2008

Dead Luke - Record One 7"

Programmaticamente chiamato Record One per distinguerlo dal Record Two di prossima uscita (evviva l’originalità!), questo piccolo pezzo di vinile a nome Dead Luke è quanto di meglio uscito sul versante minimal-synth-punk nell’ultimo periodo.
Emersi dalla melma pop-putrescente della Sacred Bones Records, i due pezzi sono un concentrato di synth-pop da cameretta deviato verso il punk più minimale ed eterodosso.
Il lato A deforma in chiave goth-punk un classico dei Troggs, I Want You, lo rigira dal di dentro, lo rivolta fino a farne un delirio fantasmatico modello Sisters Of Mercy in acido.
L’altro lato è ad appannaggio di Waste Of Spaces, in cui grumi di synth si abbarbicano gli uni sugli altri sostenuti da un beat sintetico acido e malridotto. come nella migliore tradizione della Grande Triple Alliance Internationale de l'Est. A far da collante sempre la voce del misterioso e solitario Luke: lugubre, effettata, distorta eppure sempre malinconicamente pop.
A impreziosire il gioiellino l'artwork di Mike Sniper, artista feticcio della Sacred Bones.