lunedì 30 marzo 2009

Sonic Attack Trilogy part III: Lords Of Light


Era inevitabile che al terzo volume del tributo agli Hawkwind partecipassero due campioni della psichedelia più chitarristica e hard-oriented. I Kinski, sul lato A riprendono in maniera tutto sommato filologica quella cavalcata hard che era Master Of The Universe, da In Search Of Space, secondo album del gruppo inglese. Se però l’originale era permeato da un mood alieno che rimandava pesantemente all’immaginario sci-fi, il quartetto di Seattle punta dritto al panzer hard. Perciò a tirare le fila è la chitarra, impegnata in un tour de force incentrato praticamente sull’unico riff. L’unica concessione alla alterità è il break nella seconda parte del pezzo che fa riemergere l’amore dei Kinski per i contrasti tra vuoti pneumatici e suoni in saturazione.
È Lord Of Light invece ad essere omaggiata dai Bardo Pond dei fratelli Gibbons, che per non esser da meno dei colleghi, virano ancor più al nero il riff portante del pezzo; la voce femminile di Isobel però addolcisce il monolite hawkwindiano spostandolo sul terreno classico della band americana: uno space-rock psichedelico e dilatato che non disdegna di sfiorare lande shoegaze e sognanti.
Insomma, altro ottimo vinile in un progetto perfettamente centrato. Dopotutto Every note has a noise, dicono dalle parti della Trensmat e questo tributo allo space-rock degli Hawkwind lo conferma appieno.

sabato 7 marzo 2009

Sonic Attack Trilogy part II: Psychedelic Warlords

Il secondo appuntamento con la Sonic Attack Trilogy della Trensmat vede scontrarsi sui solchi del vinile Acid Mothers Temple e White Hills.

Sulla infatuazione space-psych-rock del collettivo di Kawabata Makoto credo sia stato già detto tutto. In aggiunta il secondo volume della trilogia – non a caso sottotitolato Psychedelic Warlords – porta giusto il doveroso tributo ad uno dei capisaldi dell’universo AMT: una Brainstorm totalmente annichilente, stravolta in un trip cacofonico dalla follia dei giapponesi a furia di distorsioni chitarristiche e svisate aliene di theremin, oscillatori, synth e quant’altro. Tutto l’arsenale rumoroso e spacey del gruppo è dispiegato senza risparmio alcuno e, a differenza di alcune ultime prove, non stanca affatto.

A ruota seguono le nuove sensazioni del suono hard’n’spacey White Hills, from NYC. Che a dirla tutta, anche nel trattamento cui sottopongono Be Yourself dimostrano di meritare tutte le lodi ricevute. In primis, perché stravolgono il pezzo degli Hawkwind metabolizzandone l’afflato freak e rigurgitandolo in un vero e proprio maelstrom distorsivo cacofonico e violentissimo: batteria iperamplificata modello martello pneumatico e l’accoppiata chitarra e basso in totale overdrive.

Il risultato è un hard-rock psichedelico che si riproduce in un loop infinito fino a sfumare nel deliquio finale, quando si riallaccia al refrain quasi-prog dell’ossessivo ritornello che da il titolo al pezzo.


giovedì 5 marzo 2009

Sonic Attack Trilogy part I: Motorheads

Ne accennammo tempo addietro e ora, seppur in ritardo, siamo qui a parlarne. La Sonic Attack Trilogy della Trensmat è un tributo in vinile piccolo agli Hawkwind sotto forma di 3 split.
Nel primo, sottotitolato Motorheads si confrontano Mudhoney e Mugstar; nel intermedio Psychedelic Warlords, tocca ai giapponesi Acid Mothers Temple e White Hills, mentre nel conclusivo Lords Of Light è la volta di Bardo Pond e Kinski.

Procediamo con ordine e partiamo dal primo 7”. Ai Mudhoney non dev’essere sembrato vero di poter mettere mano su uno dei primi singoli della band inglese, Urban Guerrilla, e partire di fuzz come se piovesse. Un Mark Arm in splendido spolvero graffia con quel suo timbro roco il classico hawkwindiano mentre i sodali, Steve Turner in primis, si scatenano su quei riff eterni. Rispondono i Mugstar, band di cui so poco se non che non sfigurano affatto prendendo alla lettera le lyrics di Born To Go (We were born to go / We're never turning back / We were born to go / and leave a burning track…). Partono infatti dritti come folli, a velocità super, con vagonate di riverberi su voce e strumenti e il pezzo diviene ben presto un tour de force space-rock durissimo e ipercinetico.
Puro motorik sound ai suoi massimi livelli e primo centro della serie.

martedì 3 marzo 2009

Cheval Sombre – I Found It Not So 7"

Una ninnananna da spazi profondi. Un cullare atavico che lascia fluttuare nel vuoto.

Sospesi. Inerti. Gassosi.

Inizia così, I Found It Not So. Chitarra arpeggiata. Voce suadente. Una sensazione di calma bucolica e rilassatezza eterna che si protrae per tutti i 4 minuti e 15 secondi del pezzo. Un peccato che i solchi del vinile si interrompano, ché se si continuasse in eterno, se si imprigionasse quel mood in un lock groove infinito non ci si starebbe a preoccupare di puntine e levette. Si rimarrebbe lì, estatici ed estasiati. Inebetiti da tanta, semplice, sfuggevole dolcezza.

Dall’altro lato del paradiso ad aspettarci è Where Did Our Love Go. Classico delle Supremes dilatato e stiracchiato da Cheval Sombre tanto da raddoppiarne la lunghezza originale e disegnare lande shoegazing trip-hop(!).

Cheval Sombre non è nuovo da queste parti. All’anagrafe è Christopher Porpora, newyorchese di lontane origini italiane e per questo 7” su Static Caravan chiama in causa Sonic Boom (produzione per la title-track) e Dean (Wareham) e Britta (Phillips) – in pratica i Luna – a chitarra, minikorg e celesta.

In uscita l’album d’esordio per l’etichetta di Wareham, la Double Feature, proprio in collaborazione con Peter Kember, ossia mr. Sonic Boom.