martedì 30 settembre 2008

Mahonies – Hey We Got Coneys. It’s Great! Let’s Dig In! 7”


8 pezzi in un 45 giri? Beh, sì, visto che c’è stato chi ha fatto (molto) di peggio in ambiti estremi. Di certo c’è che quelle dei Mahonies sono brevi schegge di proto-punk affilatissime, spastiche e depravate. Sommerse dal rumore, ovviamente. Sono in due, Craig Brown (batteria) e Ian Lannen (chitarra), cantano entrambi, sono di Detroit e hanno delle fisse decisamente strane: la prima è suonare in giro senza essere invitati – e questa è quasi comprensibile, suonando una specie di garage sfasciato. La seconda è alquanto più strana e preoccupante: stanno in fissa con hot dog e salsette, tanto da farci un artwork intero (fumettistico sul davanti; fotografico sul retro) e dedicargli pure qualche canzone come House Of The Mustard Sun (“Chili Mustard Onion and the Hot Dog Bun…Coming to your town gonna have some fun…Throwing chili-cheese at the mustard sun…Mustard sun”, questo lo splendido testo).

Dopotutto l’America non è il posto migliore per mangiare sano, no?

La musica, poi, viene di conseguenza. Brevi schegge di articolato garage-punk che non superano mai il minuto e mezzo, condite di grande ironia (8 full length songs! recita lo sticker in copertina) e spericolatezze strumentali che ne hanno fatto parlare come epigoni di Half Japanese. I testi? All’insegna del divertimento più sguaiato. Non male come esordio.

Ah, pubblica la X! records da Detroit, casa degli impareggiabili Frustrations e Terrible Twos.


lunedì 29 settembre 2008

Parts & Labor – Tour ep 7”

Sono i nostri preferiti i Parts & Labor, non si può negare l’evidenza. Hanno un suono così corposo e riconoscibile che, pur prendendo da molti – noise primi ’90, rigore mathy, ripetitività industrial – rimanda esclusivamente a se stessi. La grana grossa delle chitarre (che non ci sono), la batteria metronomica ed ipercinetica, gli inserti elettronici devianti. E soprattutto il gusto pop, elemento imprescindibile per l’accessibilità di un certo tipo di suoni, altrimenti gratuitamente autoreferenziali.

Le collisioni di tastiere, basso e batteria sono memorabili, così come gli incastri con le melodie vocali, di molto accentuate nell’ultimo periodo dal trio. Capaci – mai come in queste ultime prove – di fondere urgenza noise-rock, cataclismatiche velocità al limite del parossismo e vena melodica che si appiccica in testa e non se ne va più.

In questo 7” in edizione limitata pubblicato dalla tedesca Altin Village, i tre newyorkesi (il batterista Christopher R. Weingarten, fresco dimissionario, era ancora della partita) celebrano il tour europeo con una cavernosa We Were Here, per l’occasione ribattezzata Wir Waren Hier e cantata dall’amico Kurt Beals degli Pterodactyl (compagni di tour). In primo piano le svisate digitali di Dan Friel, mentre il basso di BJ Warshaw e la batteria del summenzionato Weingarten procedono sulla falsariga di un motorik, guarda caso, tedesco. Sul lato opposto l’inedita Skimming Stone si snoda lenta e indolente tra estatiche tastiere e vocals trasognanti, prima di distorcersi e piegarsi su se stessa.


sabato 27 settembre 2008

Mayyors – Megan’s Lolz 7”


È bellissimo non sapere nulla di un gruppo. Chi siano, cosa suonino, quanti siano, da dove vengano. Nulla di nulla, se non affidarsi solo alla musica. Punto e basta.
È quello che succede con questi Mayyors. Che criptici a dir la verità lo sono proprio di brutto. Né maispeis, né sito. Tanto meno promozione o passaparola virale sul web.
Ergo, vai con la musica.
Tre pezzi – in realtà due + una breve intro industrial-cacofonica – in questo secondo vinilino che si muovono in totale esagerazione di volumi. A tirare le fila del suono è un basso caterpillar, iperdistorto e rumorosissimo, vicino a certo noise targato AmRep, tipo Hammerhead (per chi se li ricorda). Rotondo, grasso, circolare, specie in un pezzo come White Jeep.
Ma anche la chitarra in perenne delay e la batteria forsennata non scherzano in quanto a parossismo. La prima, affogata nei feedback, è un rantolo che smostra riff originariamente punk; la seconda cerca di dare un senso al nonsense dilagante mantenendo una cassa dritta più possibile.
Ma la disperazione rumorosa di Airplanes insegna non si può fermare il rumore che incancrenisce la parte finale del 7 pollici.

venerdì 26 settembre 2008

Blank Dogs – Setting Fire To Your House 7”

Muoversi nella discografia di Blank Dogs è come muoversi in un ginepraio. Minuscole schegge di vinile sparse in ogni dove rischiano di colpirci e farci innamorare all’istante.
L’ennesimo 7” di una produzione realmente sterminata – sebbene relativamente giovane – esce per una neonata label danese 4:2:2 e si pone esattamente al guado tra reminiscenze wave e bedroom pop.

La caligine wavey con la quale Blank Dogs ricopre le trame pop fa il paio con un approccio lo-fi che è dogma incontrastato e che distorce, sporca, strazia (a volte) quelle stesse trame. E così facendo le impreziosisce trasformandole in piccole gioie per chi ha ancora orecchie non anestetizzate.
L’incendiario anthem urlato nell’omonimo pezzo sul lato A (Setting Fire To Your House) ci invita a bruciare tutta la nostra collezione di dischi tra reminiscenze da Cure imberbi, gloomy sundays e sporcizia infilata sotto il tappeto dello studio di registrazione. L’altra faccia della medaglia è I Was Counting; se possibile ancor più wave anni ’80, anzi a dirla tutta è synth-pop con voce distorta da una cascata di feedback involontario.

All’orizzonte altre uscite in formati minori e per etichette sempre più sconosciute, quasi che chiunque si nasconda dietro il nom del plume voglia incoraggiarci ad una caccia al tesoro sempre più soddisfacente.

venerdì 19 settembre 2008

Night Wounds & Mutators - Split 7"

DJ Rick, il gestore di Art For Spastics ne ha parlato in questi termini: "side A sucks your blood; side B splatters it on every wall". E noi, non volendo contraddire una voce così autorevole, soprattutto dopo l'ascolto di questo bello split su BadMaster, non possiamo che accodarci.

Procediamo con l'ordine suggeritoci da Rick per parlare di queste due formazioni ostiche e fuori di testa. Sul lato A troviamo i Night Wounds, gruppo semisconosciuto da noi ma con un seguito di culto in quel di LA. Quartetto dalla formazione mobile e dal suono instabile, grossomodo un punk umoralmente wavey grazie al sax stranito e straniante, i NW provvedono due pezzi: Animal procede per ondate di rumore e ricorda i primi Sonic Youth cresciuti a Londra invece che negli States; Nothing Changes è invece una resa piuttosto fedele del pezzo dei Death In June. Scelta particolare in ambiti no-wave ma affine allo spirito dei quattro che sembra rifarsi ad un art punk primitivo o alla primigenia wave britannica.

I Mutators, protagonisti del lato B, sono canadesi di Vancouver, appartengono a quel giro di reietti che fa capo a Shearing Pinx (coi quali condividono un 12” su Ugly Pop) e suonano decisamente più classici dei NW. Il che non significa affatto più tranquilli o meno destabilizzanti: 3 pezzi di screamo urticante, corde tirate allo spasimo, tamburi maltrattati + una voce che ricorda i primi, puerilmente hc, Beastie Boys, solo al femminile. Rovinatissimi e grezzi, spargono ovunque macchie di sangue, proprio come dice DJ Rick.


giovedì 18 settembre 2008

Liars / No Age - Winter '08 Tour 7''

Antitetici a palla Liars e No Age in questo piccolo gioiello che testimonia il congiunto tour invernale. Il lato A vede i bugiardi più fichi del millennio appiccicarsi su una melodia sommessa, zuccherosa, dolciastra eppur sempre malatissima - retaggio di un misconosciuto Jonathan Halper - mentre ci ricordano che vogliono lasciarsi tutta la loro vecchia vita dietro le spalle. Che sia un nuovo, ennesimo, stupefacente cambio di direzione?

Dall'altra parte del paradiso, inserita a forza nei piccoli solchi del vinile la violenza bruta dei No Age che non ti aspetti. Attacca con un flusso distorsivo modello shoegaze all'inferno, batte con un ritmo secco metronomico, gorgheggia qualcosa di Slowdive mentre annega in una marea montante di feedback. O forse è solo la puntina del mio stereo?
C'è poco da fare o dire, questi stanno una spanna sopra tutti gli altri.

Pubblica l'etichetta di casa No Age, la Post Present Medium, 2008.

Tracklist:
01. Leaving My Old Life Behind [04:03]
02. Scheduling Mishaps [03:29]


venerdì 12 settembre 2008

Volcano! – Africa Just Wants To Have Fun 7”

Torniamo ai nostri cari e vecchi 45 giri oggi, dopo qualche excursus in altri supporti. E lo facciamo con un dischetto appena uscito da non perdere assolutamente.

Paperwork, il nuovo album dei volcano!, è una bomba – forse anche meglio del precedente incensatissimo Beautiful Seizure per chi scrive – e questo piccolo vinile ne è l’apripista. Come se di piste i tre americani non ne avessero già aperte abbastanza.

Due pezzi estratti dall’album: nello specifico Africa Just Wants To Have Fun sul lato A e una versione slow di Performance Evaluation Shuffle sull’altro. Che guarda caso sono i due pezzi che aprono l’album, solo a posizioni invertite, ma anche un pratico bignami del suono vulcanico. Un suono che mai come ora appare centrato e focalizzato intorno ad una matura figura di dopo-rock onnivoro e cangiante, speziato, scheggiato, screziato, ipercinetico, mai fine a se stesso o autoindulgente.

Africa Just Wants To Have Fun è uno schiaffo in faccia al finto-buonismo di molte rockstar impegnate a favore del continente nero; parte come dei liquidi pink floyd, sognante e onirica coi suoi gorgoglii di corde grattate e percussioni in libera uscita, ma poi si scatena in un tourbillon di crescendi voce/strumenti da estasi. Funk, etno-rock, avanzi di Yeasayer, ritmo, energia. In una parola, tutto.

Sul lato opposto una versione lenta e raffinata di Performance Evaluation Shuffle – addirittura più bella dell’originale – col suo procedere sinuoso esalta la voce di Aaron With.

Edizione limitata a 500 pezzi, ergo cercate questo vinile.

giovedì 11 settembre 2008

HTRK & Duke Garwood – Keep Mother 10” Series vol. 6


Last but not least ecco a voi l’ultimo volume della KMS pubblicato a tutt’oggi. A dividere lo split stavolta sono – come nella migliore tradizione della serie – due entità piuttosto diverse tra di loro. Sul lato K il trio australiano di hate rock HTRK si palesa dopo l’ottimo Nostalgia e appena prima del comeback Marry Me Tonight con un intermezzo che ne evidenzia lo spessore. Una suite in 3 movimenti K, ksext, errgghhh che gioca simultaneamente con sbuffi post-industriali, rock mutante e paludoso, wave psicotica e ossessiva. Qualcosa che sta al guado tra i Birthday Party cibernetici e una collaborazione Boyd Rice/DIJ senza parossismo impegnati in una sorta di neu-disco. Difficili ma validi, seppur non innovativi, ovviamente. Chi li ha visti live di supporto ai Liars ne dice un gran bene, ergo confermiamo.
Il malsano e sofferto blues di Duke Garwood occupa invece il lato L con una prova di maestria riduzionista. Voce e (pochi accordi di) chitarra che sgretolano cuori e viscere con la musica più antica (e maledetta) del mondo. Lenta, sofferta, tesa; a tratti dilaniante col suo procedere inquieto e inquietante verso il silenzio e l’assenza. A dimostrare per l’ennesima volta, se ce ne fosse bisogno, che silence is the new noise.
Forse il miglior split della serie.

mercoledì 10 settembre 2008

Bardo Pond & Pre - Keep Mother 10" Series vol. 5

Oggi è la volta del volume 5 della Keep Mother Series, comprensivo delle lettere I e J e appannaggio rispettivamente di Bardo Pond e Pre. Come a dire, mai accoppiata fu più eterogenea.

I Bardo Pond dei fratelli Michael e John Gibbons sono sempre alle prese con una dilatata psichedelia dagli umori sixties e a forte concentrato di amanita muscaria – cui dedicarono pure un bell’album una decina di anni fa. On Everyone è un lungo, unico flusso in crescendo in cui la voce di Isobel si fa mantrica e avvolgente quanto le spire lisergiche di chitarre, memori in egual misura di psichedelia texana e acid-rock, prima di giungere alla catarsi finale. Magari un pezzo di routine, ma sempre con molta classe da vendere.

A risvegliarci dal torpore allucinogeno ci pensa Big Dique del quintetto londinese Pre: schizofrenia art-rock tendente al no-wave sovrastata dalla voce isterica e puerile della cantante (ehm!) Akiko Matsuura, disperatamente intenta a porsi all’esatta congiunzione tra Melt Banana e Teenage Jesus & The Jerks. Sfrontati e violenti, cacofonici e distruttivi, dissonanti fino al parossismo, non possono reggere tutto il lato del vinile. E infatti dopo due minuti si incanalano in un unico, lungo e francamente gratuito fischio di ampli in distorsione totale rotto qua e là solo da qualche sproloquio apparentemente campionato. La sbuffo anarcoide dei 15 secondi finali non cambia la situazione. Hanno fatto di meglio.


martedì 9 settembre 2008

L'angolo della citazione


"Did you ever go in a shower and turn it on and have it come out tiny little ice cubes? Thats the difference between CDs and the real thing - water and ice. It's like gettin' hit with somethin' instead of havin' it flow over ya"
Neil Young

A volte (molto spesso) qualcuno riesce a dire alcune cose meglio di chiunque altro.

lunedì 8 settembre 2008

Liars & Gerry Mitchell & Little Sparta - Keep Mother 10” Series vol. 4


La KMS è una collana di 10” in elegante e spartana confezione in cartoncino edita “alfabeticamente” dalla Fire Recs di Londra. A scorrere la lista di partecipanti non può non venire l’acquolina in bocca. Ogni volume è infatti uno split tra due band spesso stilisticamente distanti con a disposizione un lato ognuna per orientativamente 10 minuti di musica.
Allora, procedendo con ordine rigorosamente alfabetico iniziamo dal volume 4. O meglio dall’accoppiata G e H: rispettivamente Liars e Gerry Mitchell & Little Sparta. Sul lato A dei Liars insolitamente hard-rock coverizzano How Many More Times dei Led Zeppelin. A modo loro, ovviamente con tanto di vuoto pneumatico nella parte centrale e cacofonia astratta sul finire, per l’ennesima dimostrazione dello stato di grazia dei newyorchesi. Specialmente in uscite minori. Nell’altro lato mister Gerry Mitchell si pone sulla lunghezza d’onda del nuovo album condiviso con i Little Sparta, declamando in Feasting On My Heart una sua lunga composizione sul tappeto strumentale metà cameristico, metà orchestrale dei compagni d’avventura. Violini lievi e chitarra sommesse al servizio di uno spoken word ossianico e sfigurato. Il risultato? Non lontano da certi vaneggiamenti di sua santità David Michael Tibet e i suoi C93.

domenica 7 settembre 2008

Agent Side Grinder – Self Titled lp

Synth-wave fredda come il ghiaccio, quella di Agent Side Grinder. Disperata come vivere nella regione col più alto tasso di suicidi giovanili. Dopotutto sono scandinavi, svedesi per l’esattezza, e perciò abituati alle temperature glaciali. E anche alla freddezza interiore. Che tramutata in musica fa un qualcosa all’incirca Cabaret Voltaire meets Suicide meets EBM. Ovvero il malefico distacco dell’industrial britannico + le deformi forme rock degli americani + la claustrofobica organicità dell’EBM. Ma aggiungiamoci pure una spruzzata di litanie Throbbing Gristle (Brave New Age), qualche immancabile rimando ai Joy Division (Remnants Of My Sight), sventagliate marziali DAF/Klinik (Voice Of Your Noise) e molto, molto dark eighties.

Niente laptop e giocattoli digitali: gli svedesi amano l’analogico. Giocano di synth e batterie elettroniche come d’ordinanza. Vestono di nero e hanno l’aspetto ieratico da frequentatori del BatCave. Prediligono quella forma di danzabilità che ha in sé un latente senso di malefico e di apocalittico: fredda, sintetica, ossessiva. Inarrestabile.

Dopotutto, come dicono lo stessi, Are you ready to hear your dreams in a reversed loop? A voi rispondere. Produce il tutto l'interessante label olandese Enfant Terrible.

sabato 6 settembre 2008

Om – Gebel Barkal 7”

Nome preso dal mantra più sacro dell’induismo; titolo che rimanda alla Montagna Pura degli egizi, il Jabal Barkal che domina l’antica regione di Napata; l’ultimo album chiamato Pilgrimage. Ce n’è abbastanza per intuire che i due Om sono in fissa con la trascendenza spirituale e misticheggiante. Dopotutto il passo è stato breve dalle elucubrazioni psichedeliche a base di oppiacei delle precedenti release a nome Sleep; su tutte Dopesmoker, monolite acid-psych dalla gestazione a dir poco difficile.

In questo 7” del singles club della Sub Pop, Al Cisneros (basso/voce e membro storico) è affiancato dal nuovo batterista Emil Amos, sostituto del dimissionario Chris Hakius; ma la musica sembra non risentirne: sempre psichedelia pesante e pensante, dall’appeal orientale e stupefacente, scarna ma definitiva.

La title track avanza su un oppiaceo giro di basso di Cisneros e una batteria precisa e varia che regge la scena fino a che la voce ascetica di Cisneros ci butta in un incubo fatto di malsane evocazioni, simile per atmosfere alla Giza evocata in Conference Of The Birds (Holy Mountain, 2006). Nel lato B è presente una versione alternativa del pezzo, con forti accenti dub che ne dilatano ancora di più l’impatto trance. Tanto che quando esplode il riff di basso distorto sul finale, si viene catapultati nelle oscure profondità di Giza e soltanto la puntina del giradischi che si blocca impedisce di perdersi e non tornare indietro. Mai più.


mercoledì 3 settembre 2008

Dokuro 3" festival of noise



Plastic Boner Band – Dance, California cd 3”
Good Noise, Bad Noise – Odd Rooks Recur cd 3”

Torstein Wjiik – Komprimert Munn cd 3”




Cambiamo formato oggi e scivoliamo verso i lidi del digitale. Ben tre cd 3” in deliziosa confezione mini-dvd ci offre questo giro la Dokuro, etichetta personale di Michele Scariot (Ent e nodolby tra i vari progetti), specializzata in edizioni limitate e particolari di ambito noise.
Cominciamo da Plastic Boner Band, in realtà un solo project di Samuel Henry che si diverte – come da titolo – a rubare un riff dal 7” Dance, California dei Wooden Shjips per masticarlo, distorcerlo e risputarlo fuori sotto forma di stratificazioni soniche da wall of sound tellurico. Come da splendida copertina, opera di Merlo. Musica ostica che però induce alla trance per sovrapposizioni di ruvide lastre di suono.
Due invece i pezzi di Odd Rooks Recur del collettivo aperto di artisti transmediali Good Noise, Bad Noise. Con un nome così ci sarebbe da aspettarsi dai quattro inglesi devastazioni grezze e unidirezionali. Invece l’utilizzo del violino di Neil Woodall aiuta a scremare le maree montanti di macilento noise da laptop + field recordings processati dell’accoppiata John Hall/Shaun Blezard, virando il suono verso una elettroacustica sempre bella spessa ma molto cerebrale. Arcade Martyr Reports Twinning e Worrying Sectarian Tramp Trend i titoli delle due suite registrate live da assumere nottetempo, con una lieve preferenza per la seconda.
A conclusione della trilogia lo sconosciuto – almeno da noi – Torstein Wjiik a.k.a. Kjetil Hanssen, già titolare dell’etichetta Ambolthue. A dir poco prolifico il norvegese che in questa release (anch’essa una lunga suite da 20 minuti) si muove sui territori scoscesi del droning isolazionista. Non che il risultato sia meno claustrofobico e stordente delle precedenti uscite: esplosioni compresse, quasi subacquee, aprono la strada a fall-out post-atomici per una versione fantasmatica dell’industrial sound.
Ottime, davvero, le musiche, ma una nota di merito va agli artwork, molto al di sopra della media. Dokuro rules!

martedì 2 settembre 2008

Starving Weirdos – Absolute Freedom 7”

Viaggiano in totale libertà gli Starving Weirdos e lo fanno da tempo immemore ormai. Discografia sconfinata e mediamente su livelli eccelsi per questo collettivo che ama muoversi sotto traccia e in solitario isolamento rispetto ad altre proposte simili.
Per l'esordio vinilico della Abandon Ship - della quale è d'obbligo recuperare almeno un 3/4 del catalogo - i californiani mettono su due tracce di (in)solito drone-rock fortemente trance e in collettivo aperto come d'ordinanza. La title track sul lato A, appannaggio di Brian, Jon e Merrick, è un incubo oscuro e letale. Si muove su toni decisamente minacciosi merito di echi e riverberi in modalità loud, vortici ascendenti di chitarra, flutti di rumore generalizzato quasi droning, voce declamatoria e sinistra. La sensazione generale rimanda a qualcosa del primo industrial britannico più che verso il weird-folk (o similia) odierno.
Mt. Josephet, dall'altro lato della luna, è invece un pastone per organo, pedali e zorna (?) che nulla o poco ha di umano col suo lento e paludoso snodarsi verso orizzonti misteriosi della Cthulhu tanto cara a H.P. Lovecraft.
Mi meraviglia che sul vinile non siano incise invocazioni a qualche dio degli inferi. Forse dovrei suonarlo al rovescio, non si sa mai.